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Apprendere dall’esperienza Covid-19: prime riflessioni sul lavoro psicoanalitico online con le famiglie

di Sara Micotti*

Una coppia sta diventando famiglia: l’uomo contiene con il suo corpo la donna pensierosa, morbida, accovacciata. I muscoli dell’uomo sono tesi, il suo sguardo aperto verso il futuro. Il bambino non è ancora nato, ma Egon Schiele (Famiglia, 1918) lo immagina con tenerezza. Nell’autunno del 1918 la coppia, con il bambino in divenire, muore a causa della epidemia di influenza spagnola. Non siamo soli, oggi, a vivere il presente, il senso di fragilità e sospensione, il bisogno di continuare a ricercare la bellezza e di apprendere dall’esperienza.

Lo psicoanalista John Bowlby – poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, sulla scia dell’entusiasmo per la rinascita dell’umanità  – studiò l’importanza  dei legami di attaccamento nella vita infantile  e di una “base sicura”, una casa interna confortevole, un nucleo di sicurezze che fa sentire il bambino protetto e lo incoraggia ad avventurarsi a  esplorare il mondo. Come terapeuta di famiglie con bambini piccoli, all’inizio del lockdown mi sono subito  chiesta come mantenere il legame. Come mantenere vivo il processo terapeutico e dare ai piccoli pazienti – già segnati nelle loro storie da vissuti di abbandono e di angoscia – un’esperienza di continuità, in un momento così straniante. Se il lavoro di psicoterapia è un’occasione per potenziare ed espandere la base sicura, continuare a comunicare mi è sembrato necessario, utilizzando tutte le tecnologie disponibili.

Ma non basta mantenere il legame. Occorre attivare una effettiva progressione del lavoro clinico. Ci sono colleghi più fiduciosi verso le terapie on-line e altri preoccupati dalla differenza di setting e dalla mancanza di vicinanza fisica. Teleanalisi, analisi a distanza, analisi on-line: esistono tanti nomi per parlare delle psicoterapie e della psicoanalisi con strumenti tecnologici connessi a Internet. Ma non esistono molti lavori sull’argomento. Negli anni 2013 e 2014 sono stati pubblicati due libri: Scharff  J.S.  (2013), Psychoanalysis Online: Mental Health, Teletherapy and Training e Lemma A., Caparrotta L. (2014), Psychoanalysis in the Technoculture Era. Questi libri collettanei illuminano i benefici dell’uso degli strumenti digitali e ne discutono le criticità: la psicoanalisi ha continuato a evolvere nelle teorie e nelle sue applicazioni, dalle origini.

In ambito italiano, il  lavoro di Elisabetta Cattaneo (2017) To skype or not to skype? Lo spazio delle terapie a distanza in ambito psicoanalitico    propone  alcune  riflessioni  circa  l’utilizzo  degli  strumenti digitali nel lavoro clinico, una rassegna della letteratura e alcune esemplificazioni cliniche.   Nella nuova edizione di  Psychoanalysis Online (2015), sotto l’occhio vigile di Freud che ci guarda dal monitor, è presente un lavoro sulla tele-psicoanalisi con pazienti pre-adolescenti, dove la  statunitense Caroline Sehon illustra  l’efficacia di  cicli di sedute da remoto, svolte con due teenagers per un certo periodo di tempo. Sfogliando il motore di ricerca PEP-Web (Psychoanalytic Electronic Publishing, piattaforma per la ricerca e l’accesso dei principali periodici di letteratura psicoanalitica, a libri di autori della storia della psicoanalisi e ai volumi delle opere complete di Sigmund Freud) non si trovano invece discussioni di casi clinici con bambini più piccoli, quelli con i quali la terapia si sviluppa attraverso un giocare insieme nella stanza d’analisi e un co-costruire storie che nutrono ed espandono la comunicazione inconscia.

Con spirito pionieristico, nel 2010 Florence Guignard rifletteva sui mutamenti del lavoro psicoanalitico con i bambini, come area di sperimentazione e di ricerca. Se i bambini oggi sono interessanti al mondo virtuale, occorre che lo psicanalista lavori nella scena del virtuale che il bambino propone, affinché i personaggi del gioco possano acquisire vitalità e diventare rappresentanti di emozioni e di pensieri, piuttosto che ”evacuazioni sotto forma di azioni”.

Francesca, tre anni,  è iperattiva nella prima metà delle sedute online. Accanto a lei la madre e il padre, sofferenti e angosciati. Penso che corrono il rischio di smarrirsi o di avere incidenti domestici. Il lavoro di psicoterapia familiare dà un contenimento sia ad alcune ansie dei genitori  sia a quelle della bambina. Prendo dalla biblioteca di casa il libro Dove sono tutti? per offrire un primo contenitore narrativo alla turbolenza in atto. La mamma aiuta Francesca ad appassionarsi all’ascolto. Si accende in lei il desiderio di raccontare la storia del suo gattino, che cade e cade, prova ad aggrapparsi a una navicella, ma cade ancora, finché attraverso lo schermo non gli offro un pezzetto di stoffa verde, il salvagente. La gattina mi dà un bacio. Abbiamo sperimentato insieme stati di persecuzione e li abbiamo trasformati in creatività e contatto: la navicella  e il salvagente sono potenti metafore del presente e sembrano istituire un ponte tra corporeità e pensiero.

Teresa ha perso i genitori quando era piccola e vive con gli zii: nelle  sedute di confinamento telefonico emergono dolori profondi, come se fossero cadute alcune difese e ci fosse una sincerità nuova. Teresa è una ragazzina resiliente, sta sviluppando difese sane,  racconta che ogni tanto monta la tenda da campeggio in  casa, per sentirsi dentro una spazio speciale, uno spazio tutto suo e protetto.

Michele soffre di disturbi dell’apprendimento e la didattica da remoto, senza la trama viva delle relazioni e l’aiuto personalizzato, lo rende passivo e scoraggiato. Soffre di cefalee e di insonnie. Le sedute on-line l’aiutano a non arrendersi, a rimanere in contatto con gli argomenti scolastici che più lo appassionano, come la lotta per i diritti umani e la difesa dell’ambiente. Inoltre, un tutor lo affianca con incontri on-line e lo accompagna nel ricercare nuove strategie di studio, per  prepararsi per gli esami di terza media.

Le difficoltà maggiori si incontrano con i preadolescenti, che stanno attraversando grandi cambiamenti corporei e una grande ristrutturazione nel mondo emotivo. Negano la corporeità, che li angoscia e li confonde. Vedersi ed essere visti in video li disturba, si posizionano in modo bizzarro, offrono una visione parziale di sé, bloccano il video: se il terapeuta sta al gioco, lasciandosi osservare, lasciando  che la sua soggettività lavori attraverso lo schermo, sembrano sollevati e aiutati nel lavoro per metter d’accordo l’immagine idealizzata e l’immagine reale di sé. Bambini e ragazzi sono nativi digitali. I terapeuti, che sono spesso migranti digitali un po’ impacciati, possono contare sui loro strumenti di lavoro, l’attitudine all’ascolto, all’osservazione e alla ricettività verso le emozioni profonde in sé e nell’altro, l’allenamento a stare nell’incertezza, rifiutando semplificazioni e banalizzazioni (capacità negativa la chiamano Keats e Bion).

Se la psicoanalisi oggi con Ogden, Ferro, Civitarese  segue un paradigma ontologico (lavorare nella direzione dell’essere e del divenire) piuttosto che un paradigma epistemologico (lavorare nella direzione del conoscere e dell’interpretare), ecco allora che la presenza dei corpi in una stanza può essere temporaneamente sospesa, a favore del mantenere vivo il campo analitico, del mantenere una relazione terapeutica che continui a far nascere esperienze creative e prima non pensabili. Questo innesca la gioia del pensare.

* Sara Micotti, PhD, è psicoterapeuta psicoanalitica esperta nella terapia di bambini, adolescenti e famiglie, membro della PCF e della EFPP (European Federation for Psychoanalytic Psychotherapy). È direttore scientifico del settore psicoterapia del Centro Benedetta D’Intino Onlus, Milano e redattrice della rivista Interazioni.

saramicotti@libero.it

www.saramicotti.com

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