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Mamme e neonati imparate a parlarvi

Corriere della Sera
4 ottobre 2014 

– Spesso lasciate troppo sole, le madri faticano a nominare le proprie emozioni e quelle del loro bambino. Consigli per capirsi.

L’idealizzazione della maternità cela la complessità del rapporto madre-figlio. Eppure è sempre possibile che, in quell’ambito delicatissimo, insorgano dissonanze, ambivalenze e conflitti. Si spera che col tempo le cose si aggiustino ma, nella maggior parte dei casi, l’intervento psicoterapeutico precoce è la scelta migliore per rimettere in moto lo sviluppo di un legame che deve allentarsi senza smarrire la sua carica affettiva. In proposito, la Fondazione Benedetta d’Intino di Milano condivide il suo straordinario patrimonio di esperienza e di sapere in periodici convegni di altissimo livello scientifico, eppure capaci di parlare non soltanto agli addetti ai lavori, ma a tutti coloro che hanno a cuore il benessere dei bambini. All’orizzonte vi è la convinzione che oggetto della cura non sia il bambino, ma la relazione che gli adulti di riferimento intrattengono con lui.

Di solito accade che si proiettino tutti i problemi sul piccolo, preferendo considerarsi semplici spettatori del suo malessere. Ma non è così: se vogliamo comunicare davvero, dobbiamo metterci in gioco imparando a riconoscere le emozioni che ci animano. Questo vale anche per i più piccoli, come insegna lo psicoanalista Bjorn Salomonsson, del Centro Mama Mia di Stoccolma. Salomonsson crede nella possibilità di dar voce ai sentimenti che provano bambini che ancora non parlano. Racconta, in proposito, di aver rimosso il blocco che impediva un normale processo di attaccamento di un neonato alla sua mamma –—colpiti da traumi che avevano turbato la gestazione e il parto — rivolgendosi al piccolo così: «La tua mamma ha attraversato momenti terribili. Pensava che tu potessi morire mentre eri nella sua pancia. Non sapeva se avrebbe mai potuto tenerti tra le braccia e amarti. Non sapeva nemmeno se lei sarebbe sopravvissuta». Il piccolo ascolta, guardandolo calmo e con attenzione. Il terapeuta commenta: «Sembra un viaggiatore seduto in una stazione, in attesa che arrivi il treno dell’amore e lo prenda a bordo».

Un treno su cui troverà la sua mamma, anch’essa liberata da ansie senza nome, che il dialogo rende sopportabili e condivisibili. Questa terapia precoce, breve e profonda, si applica a situazioni di grave disagio, ma le sue indicazioni sono valide per tutti. Perché spesso le mamme, quando tornano a casa dopo il parto, rimangono sole ad affrontare i problemi dei neonati quali insonnia, inappetenza, rabbia incontrollata, pianti incessanti. Anche se sono mamme informate e premurose, si trovano in difficoltà nel riconoscere e nominare le proprie emozioni e quelle del loro bambino. Che, per diventare grande, deve allontanarsi progressivamente dal corpo della mamma, ma il vuoto di quel distacco può far paura se non lo si colma con un involucro di parole «vere», dove il dire corrisponde al sentire. In questi anni, le giovani mamme cercano di vincere la solitudine contattando in Rete altre mamme che vivono situazioni simili. Attraverso scambi paritetici, che escludono gli «esperti», si sentono confermate senza essere giudicate. Monitorando le loro conversazioni, la manager della comunicazione Manuela Tagliabue, ricava un inedito resoconto della condizione materna e infantile, che merita di essere conosciuto e discusso perché le esperienze precoci possono influenzare l’intero corso della vita

Silvia Vegetti Finzi

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