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psicoterapia psicoanalitica neonati

Terapie brevi per neonati

Il Sole 24 Ore
8 maggio 2011

– Cosa passa per la testa di un bambino è il titolo di un libro da poco pubblicato in italiano per le edizioni Cortina. L’autrice, Vasudei Reddy, esordisce con una serie di domande: «Come fanno i bambini a capire gli altri? Hanno consapevolezza della mente altrui? Vedono l’altro come “persona” cioè come un soggetto psicologico?» Un approfondimento a domande di questo genere sarà proposto al pubblico durante il convegno internazionale «Prime relazioni. Psicoterapia psicoanalitica con neonati, bambini, genitori»

Cosa passa per la testa di un bambino è il titolo di un libro da poco pubblicato in italiano per le edizioni Cortina. L’autrice, Vasudei Reddy, esordisce con una serie di domande: «Come fanno i bambini a capire gli altri? Hanno consapevolezza della mente altrui? Vedono l’altro come “persona” cioè come un soggetto psicologico?» Un approfondimento a domande di questo genere sarà proposto al pubblico durante il convegno internazionale «Prime relazioni. Psicoterapia psicoanalitica con neonati, bambini, genitori» (Milano, 13-14 maggio, Centro congressi Fondazione Cariplo, via Romagnosi 8) organizzato dal Centro Benedetta d’Intino Onlus (Cbdi) fondato 17 anni fa e diretto da Cristina Mondadori, che spiega: «Al Centro vengono portati per una consultazione o una psicoterapia psicoanalitica soprattutto bambini di 6-12 anni. Molto spesso, la loro primissima infanzia è segnata dalla presenza di un periodo di depressione della madre o del padre; abbiamo anche sperimentato che i trattamenti individuali dei bimbi in età di latenza, a volte sono molto lunghi e a volte cadono per la difficoltà di stabilire un’alleanza significativa con i genitori. Da qui la scelta di potenziare gli interventi precoci, di creare una rete di lavoro con medici ostetrici, pediatri, insegnanti; di aprirci alle psicoterapie psicoanalitiche familiari».
Nelle terapie genitore-bambino e nelle terapie familiari si aiutano i genitori a modificare le rappresentazioni del bambino e quest’ultimo a modificare le rappresentazioni di se stesso. «Spesso i fraintendimenti – spiega la responsabile scientifica del settore psicoterapeutico del Cbdi, Sara Micotti – originano da traumi e lutti non elaborati che schiacciano la mente dei genitori e impediscono loro di leggere il piacere di crescere e la ricerca del legame nelle comunicazioni dei loro bambini. Penso a una famiglia che si è rivolta al nostro Centro con un bebè di due mesi che piangeva inconsolabilmente e non riusciva a separarsi dal corpo della mamma. La donna aveva perso una sorella in un attentato terroristico, il papà era rimasto orfano da ragazzo: entrambi si portavano dentro il tema della morte, della paura che crescere e distanziarsi fosse qualcosa di pericoloso. L’elaborazione di questi vissuti ha permesso in tempi brevi ai genitori di vedere veramente il loro bambino nella sua vitalità e di sopportare il dispiacere della perdita dello stato fusionale».
Gli psicoterapeuti della primissima infanzia hanno l’opportunità di intervenire quando i circuiti nervosi del bambino sono ancora molto modulabili, prima che le difficoltà ambientali si inscrivano nel corpo e si strutturino profondamente. I neonati sono molto precoci nella comprensione della comunicazione emotiva, quindi soffrono in modo considerevole le difficoltà legate all’allattamento, al sonno, all’attaccamento, alla regolazione e al
l’elaborazione degli affetti. Nino Ferro, che in agosto rappresenterà l’Europa al congresso dell’International Psychoanalytical Association, a Città del Messico, ipotizza che «molti dei nostri guai derivano dal fatto di avere una mente; una mente piuttosto malfunzionante rispetto alle angosce che ci pone».
Björn Salomonsson, psicoanalista dell’Ipa, professore presso il Karolinska Institutet dell’Università di Stoccolma conduce trattamenti psicoanalitici con neonati di pochi mesi alla presenza delle loro madri e produce profondi benefici, talvolta in tempi sorprendentemente brevi. Allievo del grande psicoanalista svedese Johan Norman, Salomonsson afferma con forza di poter intervenire usando lo strumento interpretativo verbale con bambini ancora molto lontani dal linguaggio. Egli si rivolge direttamente al neonato, privilegia il lavoro psicoanalitico sull’inconscio, ritiene il bambino capace di comprendere affettivamente aspetti delle interpretazioni del terapeuta, per esempio a proposito della sua rabbia e della sua tristezza. «Nel corso del trattamento – spiega – lo psicoanalista cerca di entrare in dialogo soprattutto con il neonato, tenendo anche in considerazione i sentimenti di colpa, di depressione e di inadeguatezza della madre». Lo scambio terapeuta-bambino restituisce a quest’ultimo la qualità di soggetto in quelle situazioni in cui il legame con i genitori l’ha ridotto a oggetto delle loro proiezioni e influenza le capacità della madre di comprendere i problemi di relazione col suo bambino.

Armando Massarenti

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